De recuperatione Terrae Sanctae: dalla perdita di Acri a Celestino V
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Il 5 aprile del 1291 l’esercito del sultano mamelucco al-Ashraf Khalıl– succeduto al padre Qalawun, mancato proprio alla vigilia della decisiva campagna contro i crociati – si dispose dinanzi alle mura di San Giovanni d’Acri, capitale del regno latino di Gerusalemme. Ancora alla vigilia dell’assedio, quando le missive del sultano al maestro del Tempio non lasciavano margini d’intesa, i Cristiani avevano adottato la strategia che tante volte in passato si era dimostrata efficace: quella del negoziato. L’invio di un’ambasceria composta da un cavaliere di Acri esperto in lingua araba, un templare, un ospedaliere e uno scrivano, con doni e proposte di mediazione, si era però risolta con l’imprigionamento degli emissari, destinati a morire nelle carceri egiziane. La guerra era ormai in moto e l’obiettivo stabilito. Per dimensioni ed equipaggiamento l’oste musulmana sovrastava senza dubbio le forze cristiane. Intorno alla città erano confluite la principale colonna egiziana condotta dallo stesso sultano e gli eserciti degli emiri siriani alleati, in primo luogo quello di Hama che disponeva di eccezionali macchine d’assedio – comprese due catapulte di dimensioni straordinarie chiamate la Vittoriosa (al-Mansûrî) e la Furiosa (Ghadbân) – oltre a mangani maneggevoli ed efficaci nominati «Buoi neri». |
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