L'infallibilità della Chiesa e i "Fatti dommatici" nel pensiero di Giovanni Vincenzo Bolgeni
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“Questa idra molinistica convien attaccarla, combatterla, urtarla, inseguirla colla clava erculea della verità, sinché questa gran bestiaccia, peggior di quella minacciata dal prediletto veggente di Patmos, resti massacrata, morta e sepolta”. Con queste parole, scritte in una lettera datata 6 agosto 1786, GiambattistaRodella, segretario della famiglia Mazzuchelli e punto di riferimento della cultura giansenista bresciana, si esprimeva a proposito di uno dei membri più in vista della cultura filocuriale: l’ex-gesuita Giovanni Vincenzo Bolgeni. La lettera, indirizzata al cassinese Giuseppe Pujati, risulta particolarmente interessante e questo per due principali ragioni. Da una parte perché dalla sua lettura è possibile comprendere il livello a cui nel tardo Settecento era giunto lo scontro tra esponenti della cultura riformatrice cattolica ed ex-membri della ormai soppressa Compagnia di Gesù accusati, a causa dell’orientamento molinista da sempre predominante in seno all’ordine, di essere la causa dei mali che da secoli gravavano sulla Chiesa. Dall’altra perché le parole utilizzate da Rodella attestano il valore del soggetto descritto. Infatti, gli strali di Rodella, che definisce Bolgeni “idra molinistica”, richiedevano un bersaglio di primo livello, il teologo ex-gesuita per l’appunto, attraverso il quale colpire, seppur indirettamente, un intero orientamento teologico. E quale miglior obiettivo se non quello rappresentato da un teologo che nel corso degli anni Ottanta del XVIII secolo divenne uno dei più fi dati consiglieri di Pio VI e il capofila della cosiddetta “scuola romana”? |
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