Vescovi e giuspatronati laicali nel Regno di Napoli: strategie economiche, sociali e familiari delle élites in Età moderna
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Intorno alla metà degli anni ottanta Gaetano Greco affermava che il tema dei giuspatronati laicali, anche per l’età moderna, fosse fra i meno frequentati dalla storiografi a sulle istituzioni ecclesiastiche, adducendo, fra le possibili cause del fenomeno, l’apparente tecnicismo dell’argomento e la circostanza che si trattasse di un istituto ormai scomparso sotto il fuoco della legislazione civile e in seguito all’evoluzione degli interessi dei ceti dirigenti e della restante parte della società . Questo scarso interesse poteva inoltre essere alimentato dal rischio, segnalato dallo stesso autore e da altri studiosi, che, in seguito al Concilio Vaticano II, l’eccessiva enfasi conferita ad alcune categorie ecclesiologiche avesse potuto orientare la storiografi a cattolica «verso un approccio ecumenico sociologico», tendenzialmente indifferente nei confronti di istituti giuridici derivanti da «un assetto di potere». La fondatezza di tale analisi ha trovato conferma nel fatto che nei decenni successivi, non si è assistito ad alcuna sostanziale inversione di tendenza: le ricerche sui giuspatronati laicali sono state scarse e limitate quasi tutte alla ricostruzione storica di vicende particolari, legate alla vita e alla storia di specifici istituti, in città e in provincia. Queste considerazioni di carattere generale sono valide anche per il Regno di Napoli, il più vasto stato preunitario italiano, per il quale, tuttavia, in anni non assai distanti è emerso un certo interesse almeno nei confronti dei benefici maggiori e, in particolare, per le diocesi e i vescovi di patronato regio. |
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